L'insonnia di una notte d'estate
Mi sono messo a giacere
sotto le stelle,
una di quelle
notti che fanno dell’insonnia tetra
un religioso piacere.
Il mio guanciale è una pietra.
Siede, a due passi, un cane.
Siede immobile e guarda
sempre un punto, lontano.
Sembra quasi che pensi,
che sia degno di un rito,
che nel suo corpo passino i silenzi
dell’infinito.
Di sotto un cielo così turchino,
di una notte così stellata,
Giacobbe sognò la scalata
d’angeli di tra il cielo e il suo guanciale,
ch’era una pietra.
In stelle innumerevoli il fanciullo
contava la progenie sua a venire;
in quel paese ove fuggiva l’ire
del più forte Esaù,
un impero incrollabile nel fiore
della ricchezza per i figli suoi;
e l’incubo del sogno era il Signore
che lottava con lui.
A Summer Night's Insomnia
I’ve lain me down tonight
beneath the stars,
one of those skies
that turns the gloomiest insomnia
to reverent delight.
My pillow is a stone.
A dog, nearby me, sits
stock-still and gazes out,
fixed on some far-off sight.
It almost seems he’s thinking,
that he’s worthy of some rite,
that the silences of all infinity
pass through his body.
Under a sky as deep blue as my own,
on a night with just as many stars,
Jacob once dreamed of stairs
that angels mounted,
stretching between the heavens and his pillow,
which was a stone.
Among the countless stars, he counted
his progeny to come;
he’d fled from Esau, the stronger one,
into a land, an everlasting realm,
bursting with riches for his every son;
and in his dream the nightmare was the Lord
wrestling him.
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